Ciao a tutti!
Da un po' non andiamo fuori tema: ma oggi voglio assolutamente prendere un filo diverso da quello in cui trattiamo di cosmesi.
Parliamo di qualcosa di non propriamente leggero, ma sento di dover fare questa riflessione, che spero vi interessi.
A chi non è mai capitato di avere con sé, a casa, un animale "da compagnia": cane, gatto, criceto, tartaruga, pappagallino, coniglio e così via?!
Quasi tutti hanno fatto l'esperienza di possederne uno e vivere insieme a lui in famiglia.
Ma non è solo di questo che voglio parlarvi.
Voglio parlare con voi di una situazione inevitabile: il momento della dipartita dei nostri amici animali e del fatto che esista un forte dolore vissuto dalle famiglie per questo motivo:
una sofferenza silenziosa, poco riconosciuta dalla società.
Ma perché?
Se quasi tutti hanno posseduto almeno una volta un animale domestico, allora è conseguentemente vero anche che lo stesso numero di persone ha dovuto anche affrontare la loro morte, prima o dopo (quasi sempre però prima della morte della persona, dato che viviamo molto di più), per le ragioni più diverse, molto spesso a causa di malattie di varia natura.
Malauguratamente, anch'io poco tempo fa ho subito, insieme alla mia famiglia, questo evento tragico (per di più aggravato da probabili errori medici).
Il mio gattino, Trillo, era con noi da quasi 10 anni: trovammo un siamese thai di circa 4 anni abbandonato nel luogo di villeggiatura in montagna dove alloggiavamo io, mia mamma e i miei due fratelli minori.
Un giorno mia mamma mi aveva raccontato di lui e mi aveva mostrato le sue foto mentre faceva le feste a lei e ai miei fratelli nel vicolo davanti a casa: pensavo fosse una sua "cotta passeggera" per un altro gatto (da entusiasta di tutti i tipi di gatti non ero nuova a questo tipo di suoi discorsi), poi mio padre non voleva saperne di avere un gatto in casa, per cui avevo sottovalutato tutto ciò.
Eppure quella notte mia mamma non riuscì a dormire pensandolo fuori da solo al freddo durante un temporale, nonostante avesse qualche vicino che gli forniva delle crocchette e un tetto sotto cui rifugiarsi.
Ebbene, la mattina dopo, mia mamma era convinta: dovevamo salvare quel gatto. Mi diede l'ordine di aiutarla prendendo una valigia morbida traforata per portarlo a casa (solo dopo essermi assicurata che fosse rimasto sempre nel suo solito quartiere perché l'operazione andasse a buon fine).
E così fu: la prima volta che lo vidi comparire dai prati, manto marrone scuro sfumato e limpidi occhi azzurri, dal portamento regale e agile, rifiutò di buon grado la mia offerta di surimi (unico alimento a portata di mano in casa che avrebbe potuto gradire) con quel suo innato carattere principesco, anche se molto cordiale.
Poco dopo io e mia mamma lo avevamo "catturato" e ci dirigevamo a casa, tra un miagolio e l'altro dentro la borsa che portavo.
Il primo giorno stette nascosto per la paura dietro la porta del bagno, scrutandoci con i suoi occhi enormi dalla fessura. Poi finalmente accettò la nostra offerta di pace: una bustina di cibo umido e acqua.
Per almeno una settimana stette sui letti tra le coperte calde e, ogni tanto, tra noi sul divano, facendo fusa ininterrotte.
Avevamo paura, essendo un maschio, che non fosse sterilizzato e che marcasse la casa: lui pensava di farlo effettivamente, ma per fortuna era già stato sterilizzato dai precedenti proprietari.
Non vi dico poi l'ansia di tutti nell'aspettare che andasse nel catino (un po' spartano e alto per un gatto) che avevamo riempito come lettiera! Per fortuna la prima notte lo sfruttò subito: noi ringraziammo il suo istinto.
Per mio padre fu un colpo sapere che avevamo preso un gatto. Inizialmente, infatti, era molto restio ad accettarlo. Mia nonna, invece, ci fornì subito un trasportino per portarlo a casa.
Da allora sono passati 10 anni di affetto in cui abbiamo imparato a conoscerci, consolarci, coccolarci e soprattutto a ridere.
Negli ultimi mesi aveva sviluppato un linfoma nasale e abbiamo faticato a trovare velocemente un modo per intervenire a causa di indicazioni molto spesso errate o fuorvianti da parte dei veterinari. Alla fine è quasi guarito grazie alla radioterapia, anche se purtroppo eventi improvvisi, poco chiari e tragici ce lo hanno tolto quando pensavamo di avere ancora un po' di tempo con lui.
Non dimenticherò mai la sua serie di sguardi "parlanti", che esprimevano le più disparate emozioni; le sue particolarità, come il fatto di masticare solo da un lato della bocca; la sua ossessione per i pile morbidosi, e per tutto ciò che scricchiola e la sua passione per il sole splendente o per i pettini. Ma soprattutto non dimenticherò che per lui era fondamentale un'interazione con noi, tanto da venirci a cercare o dormire con noi su letti e divani. Persino quando stava peggio non gli è mai mancata la forza di fare coccole e fusa.
La morte di un essere puro, sincero e speciale, che diventa parte della famiglia, non è mai semplice: è un lutto che scava un profondo vuoto nel cuore, come per uno stretto parente.
La casa pare svuotata di significati e triste.
Se ci si pensa, fare la conoscenza con una persona non è poi così diverso dall'incontrare e convivere con un animale: nel primo caso si tratta di un rapporto con un essere complesso, certo, mentre nel secondo caso si creano delle dinamiche che si basano sul linguaggio non verbale.
Alcuni studi, però, dicono che anche tra persone il linguaggio non verbale fa l'80% della comunicazione, per cui, per molti aspetti, il rapporto che si crea nei due casi è molto simile.
In effetti, in generale i legami che si costruiscono, tra persone e tra persone e animali, non si basano in modo preponderante sulle parole, ma sui fatti: quando un fidanzato o un parente dice di amarci non ci bastano mai solo le parole ma i fatti che lo dimostrino (come accade nei casi di partner maltrattanti nei confronti della/del compagna/o: le parole davanti a un comportamento vile non contano più. Per esempio, spesso si sente dire dalla vittima "Diceva di amarmi, ma poi si arrabbiava e mi tirava uno schiaffo").
Tornando ai nostri amici animali, quindi, credo di poter dire con un buon grado di certezza che loro sanno mostrarci davvero bene l'amore che provano per noi, forse meglio delle persone e lo fanno tutti i giorni, con gesti e sguardi.
Pare indubbio che gli animali ci amino, e non solo perché ci curiamo della loro salute e sussistenza, ma perché c'è "qualcosa di più" che traspare dal loro sguardo:
non vi è mai capitato di dire o pensare qualcosa di simile a: "la sua espressione assomiglia a una persona" o "il suo comportamento mi stupisce perché è così umano"?!
Ricordo di averlo pensato quando il mio gatto andò a consolare mio fratello che piangeva, o si poneva davanti a lui per proteggerlo.
Si può dire che sia solo gratitudine quella che provano gli animali verso di noi?
O che i loro comportamenti siano solo frutto dell'istinto?
Io non credo, o meglio, penso che ci sia in loro un innato amore, in un certo senso istintivo e naturale.
Se qualcuno di voi è credente, come me, spero possa trovare consolazione anche nel fatto che sia noi che loro siamo entrambi parte della creazione.
Gli animali sono stati creati prima di noi, popolando la terra, e sono stati salvati per ordine di Dio grazie a Noè e alla costruzione dell'arca: perché l'avrebbe fatto se non li ritenesse parte di un progetto più ampio?
Del resto lui li ha creati e ha voluto che ce ne prendessimo cura ("e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra"):
"Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo. Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra». E fu sera e fu mattina: quinto giorno. Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie». E così avvenne: Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona.". (Gen. 1,20-28).
Dopo averli creati, Dio "li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche (...)". (Gen 2,19-20).
Da https://www.vitaepensiero.it/news-lintervista-una-nuova-arca-di-noe-per-salvarci-dalleco-disastro-5299.html |
"D'ogni animale mondo prendine con te sette paia, il maschio e la sua femmina; degli animali che non sono mondi un paio, il maschio e la sua femmina. Anche degli uccelli mondi del cielo, sette paia, maschio e femmina, per conservarne in vita la razza su tutta la terra. (...) Essi e tutti i viventi secondo la loro specie e tutto il bestiame secondo la sua specie e tutti i rettili che strisciano sulla terra secondo la loro specie, tutti i volatili secondo la loro specie, tutti gli uccelli, tutti gli esseri alati. Vennero dunque a Noè nell'arca, a due a due, di ogni carne in cui è il soffio di vita." (Gen 7, 2-14).
Certo, i più cinici penseranno: "vuole solo trovare giustificazione e consolazione alla sua perdita, gli animali non sono affatto persone!".
Ma confrontandomi con molti amici e anche colleghi sui social, e non, ho trovato una forte solidarietà perchè ci lega tutti una forte sofferenza alla perdita dei nostri animali:
c'è chi mi ha detto semplicemente: "comprendo il tuo dolore" ("perché l'ho vissuto anch'io" - ho pensato).
Chi ha voluto raccontarmi la sua storia e quella del suo compagno o compagna di vita domestico, le traversie e i momenti gioiosi e di come ora lo ricorda.
Chi mi ha parlato di dove immagina i propri animali felici e insieme.
O chi mi parla di come han superato quel lutto e di come ora dia amore a un altro piccolo compagno di vita.
Pensando a tutte le persone che mi hanno parlato di un qualcosa di intimo e privato come la sofferenza e il lutto, in questo caso, del proprio amato animale domestico, mi sono accorta che le persone che vivono questa situazione sono tantissime.
Devo ammettere che io non avevo ancora tenuto conto del fatto che gli animali morissero prima di noi, e che prima o poi avrei dovuto affrontare questo fatto -povera ingenua...- (ciò sicuramente ha un po' aggravato il mio malessere). Molti, invece, hanno questa consapevolezza fin da subito e vivono questo lutto anche più volte.
Allora mi chiedo:
è possibile che prima di viverlo in prima persona non ne avessi quasi mai sentito parlare, soprattutto nei grandi canali di comunicazione?
Mi stupisco del fatto che si parli poco di tutto ciò: come se questa sofferenza non fosse importante, come se non fosse riconosciuta realmente dalla società, perché si tratta "solo" di animali (e lo dico non essendo mai stata un'animalista accanita).
Forse per qualcuno questo dolore è anche fonte di vergogna, come se non ci si sentisse in diritto di provare certi sentimenti per dei 'semplici' animali.
Ed effettivamente, se ci pensiamo, la vita degli animali domestici formalmente conta ben poco: quando si ammalano le spese ricadono tutte sulla famiglia, non esiste un "Servizio Sanitario Nazionale" che sostiene i costi. Perciò chi può cura con tutti i mezzi i propri animali (tralasciando poi che anche nel mondo delle cliniche per animali ci sono grossi interessi dietro l'operato dei veterinari e che spesso è difficile trovare persone realmente affidabili a cui consegnare con tranquillità il proprio animale), gli altri sono lasciati a loro stessi.
Altro elemento è che non esiste un luogo dove sepellire gli animali: o meglio esistono alcuni enti privati e quasi sempre a pagamento, anche per avere le loro ceneri in urna. Altrimenti vengono sepelliti nei campi o inceneriti.
E ancora: la Chiesa non riconosce il valore dei cosiddetti "animali d'affezione".Spero davvero che si prenda sempre più coscienza di come i nostri animali, che sono come figli e fratelli per noi, incidano sulle nostre vite di tutti i giorni. Forse lo capiamo solo quando non ci sono più, perché si tratta di un evento estremamente doloroso, ma sicuramente tutto ciò mi porterà a considerare con più peso e responsabilità l'eventuale adozione di un nuovo animale e quello che comporta soprattutto a livello affettivo.
Recentemente, vedendo una serie tv, ho trovato consolazione in alcune parole che venivano pronunciate, si diceva:
"Cos'è il dolore se non l'amore che persevera?!" (Da "Wanda Vision"):
Nessuno, quando prendiamo un animale domestico, ci dice che la loro scomparsa sarà un dolore atroce, altrimenti nessuno adotterebbe animali. Probabilmente però non funziona così: la sofferenza ci giustifica a non amare per nulla? Non penso. Essa è la dimostrazione probabilmente che ne vale la pena, invece.
La citazione sopra, seppur contestualizzata diversamente, mi ha fatto molto riflettere sul valore di ogni momento passato con Trillo e sul fatto che il suo speciale amore per noi non andrà mai perduto, così come quello che noi gli abbiamo dedicato in questi anni, che sicuramente rimarrà nei nostri cuori e nei nostri affettuosi ricordi per lui.
Sento che si prenderà cura di noi ancora da lassù e sicuramente ritrovarlo sarà una gioia.
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